L’asino e le stazioni di monta per sole cavalle, con obiettivo i muli

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Cavalli e asini nel tempo hanno dato origine a numerose razze domestiche e a ibridi, tutti di grande importanza per il lavoro e la vita sociale dell’uomo. Approfondiamo insieme un po’ di storia e alcune nozioni, anche considerando che è proprio di quest’anno 2024 la nascita di uno studbook dedicato al mulo – che dall’asino deriva : + info: clicca qui – ai fini della conservazione della Biodiversità.


Partiamo da “lontano”: cavalli, asini e zebre fanno parte della famiglia degli equidi, mammiferi erbivori sociali, adattati a vivere negli ambienti aperti, dalle steppe alle savane. Sono predati, caratterizzati da un piede unico, una criniera e una coda a pennello più o meno sviluppato. Lo stomaco possiede una sola cavità e la bocca è provvista di incisivi, sia inferiori sia superiori. Originari dell’America Settentrionale, gli antenati degli Equidi si sono diffusi nel Vecchio Continente, passando attraverso lo Stretto di Bering, e poi hanno raggiunto l’Africa. In seguito, però, si sono estinti nell’America Settentrionale, prima dell’arrivo dell’uomo.


Il mulo è frutto dell’incrocio tra un asino (maschio) e una cavalla. L’incrocio contrario, tra un’asina e un cavallo, produce un bardotto. Il mulo è ritenuto un animale dal passo sicuro e adatto al trasporto nei terreni impervi. Il  mulo è stato impiegato anche in maniera crescente come animale da sella e da soma per il tempo libero. Mentre gli scritti di autori antichi come Varrone, Columella o Plinio il Vecchio rivelano l’importanza del mulo per i trasporti e il servizio postale in epoca romana, le attestazioni archeozoologiche nei siti archeologici romani a nord delle Alpi sono rare, in parte anche per la difficoltà di distinguere lo scheletro del mulo da quello del cavallo. Il ritrovamento di diversi cadaveri (cavalli e soprattutto muli) a Salodurum (Soletta) viene messo in relazione all’esistenza di una stazione di cambio per cavalli e muli. Ulteriori resti di muli vennero rinvenuti negli insediamenti romani di Tenedo (Zurzach) e Vitudurum (Oberwinterthur). Rispetto ai buoi e ai più pregiati cavalli, i muli assunsero un’importanza secondaria negli scambi transalpini per il commercio di bestiame. Furono piuttosto impiegati come animali da traino, da soma e da sella, in particolare nel XVI-XIX sec.

Dopo essere stato addomesticato in Africa, l’asino si è diffuso rapidamente in tutto il mondo perché portato sempre con sé dall’uomo durante le migrazioni verso nuove terre da colonizzare: era infatti considerato un animale indispensabile. Il successo di questo animale è sempre stato legato alla caratteristica di essere un instancabile lavoratore, che pure necessitava di pochi riguardi e cure, che si accontenta di mangiare anche gli alimenti più scarsi e poveri e che poteva sopportare livelli di disidratazione fino al 25% del suo peso corporeo. Nel XX secolo, in Italia il numero di soggetti asinini presenti superava il milione e per questo eravamo il secondo Paese in Europa per diffusione, secondi solo alla Spagna. Spesso incrociati con le cavalle, per generare i muli che avevano grande richiesta tanto dal mondo civile che in quello militare.

La storia tuttavia ha fatto registrare, dal 1918 fino alla fine del secolo scorso, come il numero di numero di asini sia stato in costante calo: la logica motivazione è da ricercarsi nel progresso tecnologico e nell’avanzata della meccanizzazione che hanno investito tanto il mondo agricolo quanto quello militare. Come seconda concausa possiamo evidenziare come, dopo la metà del ‘900, si sia assistito in Italia all’abbandono di alcune zone agricole e zootecniche soprattutto di mezza montagna dove per secoli gli asini e i muli erano stati a servizio dell’uomo. Secondo i dati dell’ISTAT nel 1981 erano registrati in Italia 125.000 capi asinini delle diverse razze, di cui la maggior parte sulle isole e al meridione del nostro Paese. Nel 1988, appena sette anni dopo, il numero era sceso a 95.000 capi. La situazione andò peggiorando in modo drammaticamente rapido perché nel 1990 se ne registrarono solo 24.000 soggetti (Baroncini, 2014) I dati ufficiali non fanno però riferimento alle razze e per questo viene messo in secondo piano un impoverimento genetico dovuto dalla perdita di soggetti d’importanza genetica per la conservazione in purezza. Va rilevato che Dal secondo Dopo Guerra si è data una gestione zootecnica poco attenta e una disorganizzazione per quel che riguarda la conservazione di un patrimonio di riproduttori, ma anche di strutture e tecnici specializzati.

Tuttavia, l’asino per anni è stato considerato un animale derelitto: a fomentare questa idea è una concezione ben radicata nella cultura del nostro Paese, ma non solo. L’asino, si sa, è l’emblema della stupidità, tanto è vero che così viene chiamato lo scolaro che non si impegna e rimane ignorante. Rispetto al cavallo, che è forte ed elegante, l’asino è l’animale dei poveri, disordinato e di sgraziato aspetto. In letteratura, ne è un esempio l’hidalgo Don Chisciotte, che montava un cavallo mentre il suo scudiero, nonché contadino povero del suo paese, si spostava a dorso di un “ciuchino”.

La ripresa demografica dell’asino in Italia si è registrata ad inizio del nuovo millennio con il riconoscimento delle razze autoctone e la scoperta e sviluppo di diversi nuovi utilizzi per questo animale come l’onoterapia e la produzione di latte delle asine: infatti dal 2000 al 2005 la popolazione asinina in Italia è passata da 23.868 soggetti registrati a 28.932 capi, numeri che testimoniano questa tendenza. La Coldiretti afferma che dal 2003 al 2008 c’è stato un vero e proprio boom demografico per gli asini, con un aumento del 30% e il doppio dei capi allevati nel Nord Italia. Nel 2008 la maggior parte degli asini si trovava al Mezzogiorno (14.865) seguita a poca distanza dal Nord Italia (13.735) grazie a un aumento dell’86% in 5 anni. La regione che ospitava più asini era la Lombardia con 4533 animali seguita alla Campania e dal Lazio. (Coldiretti).

In Italia dal punto di vista filogenetico le razze asinine originarie possono essere considerate quattro: Pugliese, Siciliana, di Pantelleria e Sarda (Marchi et al.,1925). Da queste era possibile estrapolare alcune sotto-razze o popolazioni locali: la siciliana si divideva in due tipi, uno diffuso nella zona occidentale e l’altro nella zona orientale dell’isola. La più consistente è la pugliese da cui derivavano le razze: Calabrese, Leccese; Martina Franca, Marchigiana, di Basilicata, Marchigiana e Romagnolo Ad oggi le razze asinine italiane riconosciute ufficialmente sono otto: asino dell’Amiata, asino dell’Asinara, asino di Martina Franca, asino Ragusano, asino Romagnolo, asino Pantesco, asino Sardo, asino Viterbese.  Nel 1941 c’erano ben 46 stalloni presso il Regio Deposito Stalloni di Reggio Emilia che servivano sia la regione d’origine, sia le Marche secondo Elenco Generale dei Cavalli e Asini Stalloni.

Fonti principali:

https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1993-06-30&atto.codiceRedazionale=093A3654&elenco30giorni=false

https://www.unimontagna.it/web/uploads/2020/12/Peretti-Elaborato-finale-protetto.pdf

https://elezioni.regione.veneto.it/documents/10701/13681020/Elenco+regionale+stazioni+di+monta+naturale.pdf/3dad28b5-a8f3-466e-a340-12e956f97590

https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/026237/2008-08-22/

(15 dicembre 2024) © L. Badulescu rev. B.S. – Riproduzione Riservata; foto nell’articolo: © A.Benna/EqIn;

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